Il 16 giugno 2014, si è svolto il convegno “Essere genitori in carcere: tra diritti degli adulti e diritti dei minori d’età”, nella splendida cornice della Sala della Musica dell’Hotel Ca’ Sagredo, gratuitamente messa a disposizione dalla Direzione: interventi e “buone prassi” al mattino, una tavola rotonda con i Magistrati, i Servizi Sociali, i Direttori degli Istituti di Pena nel pomeriggio.
Gli interventi del mattino hanno messo a fuoco i problemi fondamentali che si sono dibattuti nella giornata: la difficoltà ad incontrare i figli da parte dei detenuti, molti dei quali hanno le famiglie lontane, e le problematiche legate alla nuova applicazione della legge 62/2011, che istituisce gli Istituti a Custodia Attenuata per Madri. Può essere interessante anche per i non addetti ai lavori scoprire che, nel 2014, quando i collegamenti attraverso Skype sono utilizzati gratuitamente un po’ da tutti, i bambini e in genere i famigliari dei detenuti non possono comunicare con i genitori e i loro cari, se non attraverso telefonate, che generalmente durano al massimo 10 minuti e si fanno una volta a settimana. La pena detentiva non dovrebbe ricadere sui figli innocenti dei condannati, ma la privazione dei contatti con i genitori “ristretti” è una vera condanna inflitta anche ai loro figli. Gli uomini e le donne, condannati a scontare pene in carcere, già vengono privati della loro libertà personale e proprio in questo consiste la loro pena. La condanna accessoria, non prevista da nessun ordinamento, di non poter svolgere il proprio ruolo genitoriale, spesso diventa l’aspetto più doloroso della carcerazione e, naturalmente, tutto ciò rappresenta una stortura che va contro i diritti umani e dev’essere corretta.
I diritti dei bambini, figli di persone condannate, non vengono rispettati del tutto nemmeno quando essi possono seguire la propria madre nella detenzione. Con la Legge 62/2011, infatti, si permette alle madri, che vogliono portare i figli con sé, di tenerseli accanto in strutture apposite. Nella mente del legislatore queste strutture dovevano essere delle case-famiglia, dove mamme e bambini avrebbero potuto condurre una vita normale, pur sotto sorveglianza speciale. Ma, nei casi in cui “sussista il concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga”, le ristrette devono stare in strutture da cui non possono uscire. Strutture fatte a misura di bambino, ma a custodia attenuata. In queste strutture, che esistono solo a Venezia e a Milano, i bambini possono rimanere fino all’età di sei anni! A Milano la riforma non è stata ancora attuata e Venezia è la sola città d’Italia in cui ci sono i bambini superiori ai tre anni nel carcere attenuato. Poiché la cosa sembra incredibile a chiunque abbia un po’ di buon senso, preciso che una madre potrebbe entrare nell’ICAM incinta e, nel caso di una lunga pena, il suo bambino potrebbe trascorrervi i primi sei anni di vita. I danni che questa situazione può provocare allo sviluppo affettivo, relazionale ed intellettivo del bambino sono enormi, come ha spiegato durante il convegno il prof. Mario Magrini (docente IUSVE, Psicoanalista, Società di Psicoanalisi Italiana e Child and adolescent analyst – IPA).
Questi stessi danni possono essere contenuti nel rendere il tempo, in cui i bambini vivono in carcere, il più breve possibile. Per questo l’associazione “La gabbianella e altri animali”- che ha contribuito ad organizzare il convegno con il Pubblico Tutore della Regione Veneto e con il Garante dei Diritti dei Detenuti del Comune di Venezia – accompagna i bambini quotidianamente alla scuola materna, in spiaggia d’estate, in piscina ecc., ma le madri potrebbero opporsi a tali iniziative e costringere i bambini a condividere la loro carcerazione fino in fondo. Oggi manca una figura che aiuti la madre a decidere se la cosa più opportuna da farsi per il bambino è quella di portarlo con sé e che controlli che la madre non soffochi i diritti del bambino stesso, tra cui, fondamentale in tale situazione, quello di andare alla scuola d’infanzia.
E’ evidente che la Legge 62/2011, che è in pieno rodaggio, ha bisogno di precisazioni e correzioni. Non si può permettere che una madre detenuta scelga di portare con sé il figlio/a, anche se ha dei parenti disponibili all’esterno, e poi non gli permetta, come potrebbe succedere, ed è successo anche prima che nascessero gli ICAM, di frequentare la scuola d’infanzia e tutte le altre attività che vengono proposte ai bambini dal volontariato e in particolare nella nostra Associazione. Benché questi bimbi “grandicelli” siano pochi (ma da gennaio ne abbiamo incontrati 6) essi vanno accompagnati verso una crescita serena e normale.
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Carla Forcolin (presidente ass. “La gabbianella e altri animali”)