Premessa
Il governo è caduto ma la legislatura non è finita: le proposte di legge a favore dei minori, che giacciono in Commissione Giustizia da più di un anno, potrebbero ancora essere discusse.  Voglio raccontare la storia di queste proposte, anche per far riflettere chi ci governa circa il rapporto cittadini-istituzioni in democrazia.

Il problema sollevato
In Italia, la legge che regola l’affidamento dei minori si presta ad interpretazioni molto diverse, ma di solito i giudici minorili quando un bambino in affidamento diventa adottabile lo costringono a lasciare la famiglia in cui è cresciuto in affidamento (anche per anni) per porlo in adozione presso un’altra famiglia. Il piccolo, che ha già perso la madre naturale, si trova così a dover cambiare casa e affetti per la terza volta anche se la famiglia affidataria si è nel frattempo talmente affezionata a lui da volerlo adottare. Noi chiediamo da molti anni che la prima famiglia ad essere valutata ai fini adottivi dal giudice, dopo la dichiarazione di adottabilità, sia quella che già ospita al proprio interno il bambino e che l’adozione sia legittimante se la famiglia ha i requisiti per poter adottare, “nei casi particolari” in caso contrario. Tutto ciò sembra ovvio a chiunque abbia un po’ di buon senso, anche se ci sono molti pericoli, di cui noi siamo perfettamente consapevoli, anche in questa proposta. Ma l’interesse predominante dei bambini richiede a gran voce che dei bimbi, già traumatizzati in passato e ben recuperati dall’affetto disinteressato di sostituti genitoriali, di cui si fidano, non siano abbandonati di nuovo per legge.

Petizioni popolari
Per questo lanciammo una petizione durante il governo Prodi, che divenne proposta di legge presentata dall’on. Luana Zanella. Cadde con quel governo. Con il successivo governo Berlusconi, dopo la pubblicazione del libro di denuncia dal titolo “Io non posso proteggerti” ed. F. Angeli, rilanciammo una petizione on-line, dal titolo “Diritto ai sentimenti per i bambini in affidamento”. Nonostante il tema di nicchia e nonostante la nostra totale inesperienza in simili questioni, riuscimmo a raccogliere in pochi mesi nella primavera del 2010 più di seimila firme on line e riuscimmo a sensibilizzare giornalisti, deputati, giudici, professori, semplici cittadini. Su questi temi si tennero trasmissioni radiofoniche, articoli ed infine un convegno in Senato, dove intervennero deputati e senatori, tra cui Anna Serafini, la vice presidente della Commissione Infanzia, che nel passato era stata relatrice della legge attuale e che ci promise una circolare applicativa della legge. Le firme furono da noi presentate alla Presidenza della Camera, da cui ci giunse una lettera di apprezzamento firmata dallo stesso presidente, G. Fini.

La petizione diventa proposte di legge
Si fecero carico di due proposte di legge simili tra loro e in grado di cogliere le istanze della petizione due deputati, rispettivamente PdL (Elvira Savino) e Pd (Salvatore Vassallo), che avevano capito la serietà del problema per la loro sensibilità personale e per aver letto le nostre storie. Fu così che le proposte di legge nuove vennero calendarizzate in Commissione Giustizia. Non appena ciò si seppe, il meccanismo, messo così faticosamente in moto dalla denuncia di enormi quanto inutili sofferenze di bambini e di famiglie affidatarie, attrasse interessi di altro genere e altre proposte di riforma della legge 149/01 o addirittura di riforma dei Servizi Sociali  piovvero da ogni parte e con obiettivi molto diversi da quelli originari. Sembrava che la petizione fosse stata dimenticata. Per questo l’associazione, ad un anno di distanza dal convegno e dalla presentazione della petizione, il 13 maggio 2011, organizzò una tavola rotonda a Venezia in cui associazioni del settore, magistrati minorili e deputati ragionarono ancora sulle proposte esistenti e giunsero a preparare un testo, un’ipotetica legge, condivisa da tutti e che la sottoscritta avrebbe dovuto portare, come ulteriore elemento di collaborazione al mondo politico, nelle audizioni parlamentari che le erano state preannunciate e che non ci furono mai.

La legge non è stata discussa e votata dal governo precedente
Ci chiediamo:  perché una proposta di legge quasi bypartisan, a costo zero, che avrebbe rilanciato l’istituto dell’affidamento nel nostro paese, facendo il bene dei bambini e facendo inoltre risparmiare agli enti locali migliaia e migliaia di euro, non ha interessato nessuno e non ha spinto alcun partito ad accelerare i lavori della Commissione? Per i grandi interessi degli istituti, che appartengono a gruppi molto potenti, rispondono molti. Certo, ma non solo. Il problema è stato forse il grande lavoro della Commissione Giustizia su tematiche che con gli interessi dei cittadini avevano poco a che vedere? Certo, ma non solo. La difficoltà di capire tutti i problemi connessi a quello della tutela dei legami affettivi non è da poco, la questione è difficile, nonostante le apparenze. (Proprio perché si cercano rimedi ad un male che non è mai del tutto sanabile, come quello dell’incapacità genitoriale di alcuni poveretti, che si vorrebbe recuperare assieme ai figli e che invece spesso affondano nei loro guai, trascinando i figli con sé). E qui mi chiedo: quanti politici importanti, senza i quali le proposte di  legge non vengono nemmeno guardate, sono disposti ad affrontare la comprensione e la decisione conseguente su questi temi, con il relativo dispendio di tempo e di fatica, con il rischio di inimicarsi gruppi potenti?

I pericoli della riforma
C’è chi è contrario alla proposta, perché capisce che essa finirebbe per dare dei bambini a famiglie che non hanno fatto i percorsi di formazione previsti per poter adottare e “toglierebbe” altri bambini adottabili a chi li sta attendendo con lunga e terribile attesa. Come se anni di vicinanza al bambino non contassero come un corso di formazione e come se gli affidatari non avessero a loro volta sofferto e fatto dei corsi di preparazione. Come se ulteriori formazioni non potessero essere ancora fatte, se opportuno.

L’affetto che si instaura tra bambini e adulti che li curano, è sacrosanto se viene da genitori adottivi, ma è definito “attaccamento” se viene dagli affidatari. L’affetto è ciò che chiedono i bambini, a tutti, e i bambini non sanno la differenza tra affidamento e adozione. Sono loro che non devono subire traumi evitabili, non i grandi a dover avere figli adottabili a disposizione.

C’è chi teme anche che i bambini dati in affido, con simile riforma, possano non venire più  orientati al ritorno dai genitori da parte delle famiglie affidatarie. I pericoli esistono e la legge studiata nella tavola rotonda del 13 maggio 2011 cerca di contenerli. Ora abbiamo solo la certezza dello strazio dei bambini e degli adulti che li hanno cresciuti al momento di un distacco non protetto in alcun modo. Perfino il ritorno alla famiglia naturale oggi è scandalosamente crudele con i bambini, che spesso non possono più nemmeno sentire al telefono chi ha fatto loro da madre e da padre, per anni, nemmeno ai compleanni o a Natale.

Rilanciare l’affidamento
È la logica disumana che nega ipocritamente l’importanza dei rapporti tra affidatari e affidati che rende debole l’affidamento.  Se tale rapporto venisse considerato per quello che è (gli affidatari svolgono un ruolo genitoriale anche se lo stesso ruolo è  a tempo determinato), i distacchi sarebbero regolati per legge e i rapporti non interrotti d’autorità anche nel caso di un ritorno felice del bambino nel seno della famiglia d’origine. Così l’affidamento verrebbe rivalutato. Nel rispetto appunto dei sentimenti dei bambini, che non sono “cose” di proprietà.

Risparmiare denaro pubblico e fare le persone felici
Se l’affidamento venisse rivalutato, molte famiglie in più lo accetterebbero. Le persone disposte a passare dal ruolo di genitori a quello di zii sono molte, ma quelle disposte ad amare un bambino e poi a non saperne più nulla sono poche.

I bambini in struttura sono circa 30.000 e, oltre a crescere con carenze affettive, costano agli enti locali  (cioè a tutti noi) dal doppio al quintuplo di quello che costano se inseriti in famiglia. Perché in struttura bisogna pagare gli operatori che ci lavorano. Le strutture non sono inutili: i ragazzini più grandi spesso non vogliono andare in affidamento, si sentono parte di una famiglia che ricordano e si sentono in colpa cambiandola. Inoltre ben pochi li vogliono, ma i bambini e anche alcuni adolescenti che ora stanno in casa-famiglia,  potrebbero rinascere se accolti in affidamento.

I politici e la questione
Se la legislatura non si dovesse chiudere ci sarebbe forse ancora un filo di speranza. Il programma del nuovo governo insiste sulla protezione delle fasce deboli della popolazione ed è indubbio che tra le realtà più deboli del paese ci sono i bambini senza genitori in grado di occuparsene. Noi chiediamo ai politici di occuparsene: perché è giusto, perché si eliminerebbe tanto dolore inutile alal gente, perché si risparmierebbe dando benessere invece di dare lacrime e sangue.  Anche questo sarebbe  un bel segnale di cambiamento al paese.

Carla Forcolin

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