Sui giornali di questi giorni si riportano le decisioni seguite ad un’ispezione in carcere: da quanto si legge, viene cancellata la “sorveglianza dinamica”, cioè il contatto diretto tra agenti e detenute.
Come nei films americani: qualsiasi scambio solo umano deve cessare. La prima cosa che a me viene in mente è il ruolo di “consigliere oneste” che molte volte ho visto ricoprire dalle agenti nei confronti delle detenute, quando queste parlavano di sé. Si vede che questa forma di “rieducazione” semplice e diretta è considerata disdicevole. Certo, rapporti troppo stretti non vanno bene, ma è quel “troppo” che va visto, caso per caso.
Si dice anche che le detenute che lavorano in lavanderia e nell’orto dovranno dormire in reparti appositi… ma perché mai? Non è buona cosa educare al lavoro le detenute o almeno tenerle occupate in attività utili? E non è buona cosa che imparino un mestiere per avere qualche lontana probabilità di esercitarlo a fine pena?
Si dice anche che le detenute non potranno rivolgersi alla cooperativa “Granello di senape” per acquisti esterni. Ancora la domanda che sorge spontanea è: “Ma che male c’è?”: la Cooperativa si è adoperata solo per rendere la vita delle recluse un po’ meno dura, non può di certo essere accusata di avere portato dentro qualcosa che non poteva entrare o di avere speculato sugli acquisti esterni. Infine la chicca: vietata la tintura per i capelli. Durante il progetto regionale “Essere madri in carcere”, che anni fa abbiamo attuato, uno psicoterapeuta esperto e stimato, professore allo IUSVE, facendo supervisione ai nostri psicologi, si è dilungato molto sull’azione antidepressiva che la cura del proprio aspetto ha sulle persone istituzionalizzate. Quale logica vieta la cura della propria chioma in giovani donne?
Se ci sono stati comportamenti sbagliati, bisogna correggerli; ma non per questo bisogna distruggere il tanto di buono che è stato fatto. Piuttosto bisognerebbe avviare nuove attività utili, soprattutto per prevenire la devianza dei soggetti più giovani che vivono in carcere (nell’Icam ci sono i bambini). Ma la situazione dell’Icam, dopo la ripresa degli accordi nel Tavolo Interistituzionale dovrebbe migliorare, per quanto dipende dall’Associazione “La gabbianella”.
E’ vantaggio dell’intera società se gli istituti di pena funzionano e se chi ci vive non ne esce inasprito.
Nel mondo esterno, non viene vietata la circolazione delle macchine, perché ci sono gli incidenti stradali. Così nel carcere: chi fa qualcosa di sbagliato – ammesso che questo qualcosa esista – ne risponda, ma gli altri/e non devono vivere peggio per questo.
Carla Forcolin (presidente dell’associazione “La gabbianella”)