Pubblichiamo qui di seguito un articolo di Damiano Aliprandi dal titolo “Monza e Venezia: dove l’affettività sta per diventare una realtà”, pubblicato sul sito di Ristretti Orizzonti.
Il Dubbio, 18 gennaio 2018
Nell’istituto lombardo è stato inaugurato un monolocale per favorire i rapporti tra detenuti e famiglie. In quello veneziano è stato avviata la ristrutturazione dell’area verde nel chiostro. In attesa che il decreto delegato della riforma penitenziaria arrivi in consiglio dei ministri.
Il decreto delegato sull’affettività ancora non è passato al vaglio del Consiglio dei ministri, ma alcune carceri si stanno già attrezzando. In realtà, l’affettività, anche se non è stato ancora approvato definitivamente il nuovo ordinamento penitenziario, è un diritto già garantito. L’ordinamento penitenziario del 1975, nel rispetto dei principi e dei diritti costituzionalmente garantiti, assegna infatti grande rilevanza al mantenimento delle relazioni familiari.
La famiglia è presente nell’ordinamento penitenziario soprattutto come “soggetto verso cui il detenuto ha diritto di rapportarsi”, e in questo senso è come risorsa nel percorso di reinserimento sociale del reo, tanto che i rapporti con la famiglia sono uno degli elementi del trattamento individuati dall’art. 15 dell’Ordinamento Penitenziario. Alcune carceri, grazie all’iniziativa di alcuni direttori, cercano di favorire il più possibile questa relazione. Ad esempio lunedì pomeriggio è stato inaugurato al carcere di Monza uno spazio realizzato nella sala colloqui che ha lo scopo di favorire i rapporti tra i detenuti e le loro famiglie e far rivivere la quotidianità.
Quello che è stato creato nella casa circondariale per volontà del direttore Maria Pitaniello, il Provveditorato Regionale e il ministero della Giustizia, con il finanziamento di Soroptimist International d’Italia Club di Monza, è un monolocale arredato con tanto di cucina, living, spazi privati, costruito all’interno dello spazio riservato agli incontri di chi è in carcere con i propri figli, moglie o genitori. Chiamato “Spazio famiglia” è in realtà un mini appartamento dove ciascun detenuto potrà cucinare il pranzo, mangiare con la propria compagna e i bimbi, seguirli negli studi, leggere loro favole e libri, giocare e quant’altro.
E questo anche nel rispetto dei diritti dei piccoli, i figli, di incontrare il padre in uno spazio più confortevole e più intimo di una normale sala colloqui. I lavori di ristrutturazione e la posa degli impianti sono stati eseguiti dagli stessi detenuti e dagli agenti del nucleo di Polizia penitenziaria che si occupa della manutenzione dell’istituto. In realtà lo “Spazio – famiglia” si affianca alla ludoteca, in funzione all’interno dell’istituto di Monza già dal 1997: un’area gestita in collaborazione con i volontari del Telefono azzurro, dove i detenuti possono giocare con i propri bambini, e dove vengono realizzate feste a tema per i bambini.
Altro progetto, appena firmato, è quello riguardante il carcere veneziano di “Santa Maria Maggiore”. Un progetto che vede il lavoro come aspetto primario, ma che è inquadrato nel rapporto tra padri detenuti e figli. L’iniziativa è dell’associazione “La Gabbianella e altri animali” e il progetto non a caso si chiama “Lavorare per i propri figli” e ha come obiettivo la riattivazione dell’area verde all’interno del chiostro del carcere di Santa Maria Maggiore per farne un luogo adatto agli incontri tra i detenuti e i loro figli.
Il lavoro necessario alla riattivazione dovrebbe essere svolto, anche in accordo con chi si occupa della manutenzione ordinaria dell’Istituto, dai detenuti sotto la guida di artigiani dell’associazione Artigiani Venezia – Confartigianato e di un architetto, Athos Calafati, capace di orientare gli stessi sia nel senso della necessaria sicurezza che della ricerca dell’armonia estetica. Un progetto importante, anche perché in quel carcere le famiglie dei detenuti incontrano i loro congiunti in uno spazio ristrettissimo e dove non esiste uno spazio per giocare insieme ai bimbi. Il progetto veneziano ha come peculiarità il binomio lavoro- figli. Sì, perché i detenuti dovranno apprendere dagli artigiani e dall’architetto a fare i lavori a regola d’arte, sia per accogliere i figli in un ambiente favorevole al dialogo, sia per poter ricevere un attestato che certifichi la loro abilità come muratori, pittori, elettricisti e per la capacità di mostrare e smontare le impalcature. Utile quindi a mantenere l’affettività e nello stesso tempo imparare un mestiere che gli servirà per trovare lavoro una volta scontata la pena.
Così la recidiva si abbassa e il legame con la famiglia, nel frattempo, non si recide. Ma tutti questi progetti avranno un senso maggiore se verranno approvati i decreti che puntano al rafforzamento dell’effettività, dando più permessi e più giorni di incontro con i famigliari. Anche per fare pressione su quest’ultimo punto, ricordiamo, l’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini – ex coordinatrice del tavolo di lavoro sull’affettività promosso dagli scorsi Stati generali per l’esecuzione penale – ha annunciato uno sciopero della fame a partire dalla mezzanotte del 22 gennaio.