Il 2/12/2016 è stato presentato a Milano, presso la libreria Utopia, di via Marsala, il libro “Mamme dentro. Figli di madri detenute: testimonianze, riflessioni proposte”. Assieme all’ex sindaco Giuliano Pisapia, il pubblico era costituito quasi totalmente da operatori del settore, nei diversi ambiti in cui si espande la cura delle madri detenute con figli al seguito: dall’ICAM alla casa famiglia CIAO, fino a magistrati minorili e al mondo del volontariato e della cultura. In tale ambito sono emersi alcuni dei più importanti problemi con cui ci si scontra spesso nel delicato lavoro che si fa in questo settore per contenere e “rieducare” le donne che hanno commesso reati e curarne i figli senza staccarli dalle madri.
Così, partendo dalla contraddizione in termini dell’innocente per antonomasia in carcere, si è finito per parlare della necessità di evitare il riperpetuarsi della delinquenza di genitore in figlio.
Anche se tale contenuto è emerso per ultimo, la necessità di fare il possibile per integrare nel nostro mondo i bambini che vivono negli Istituti a custodia attenuata o in case famiglia o anche nei vecchi nidi, è emersa subito. Nessuno si è nascosto che queste strutture sono comunque dei luoghi dove i bambini capiscono benissimo che non c’è la libertà per le loro madri. Finché le madri non potranno uscire con i figli saranno in carcere; finché esse saranno sottoposte alle agenti, con divisa o meno, saranno in carcere; finché non potranno incontrare parenti e amici o telefonare loro saranno in carcere; finché non potranno maneggiare normalmente coltelli, forbici, ecc saranno in carcere; ecc.
Se le madri sono detenute, quale vita possono fare i bambini per non soffrirne troppo? Si è convenuto che è fondamentale per i piccoli frequentare l’asilo nido e la scuola materna, quando non anche le elementari, se superano la soglia dei sei anni. Tra gli enti locali, si nota che al momento solo il comune di Milano mantiene l’aiuto che, da anni, dà all’ICAM con vari educatori pagati dal Comune stesso. Il comune di Venezia e la Regione Veneto non pagano gli accompagnamenti dei bambini all’asilo e tanto meno ad attività ricreative nei momenti di vacanza. Il comune di Roma non fornisce Rebibbia, dove non c’è nemmeno per ora un ICAM (ma ci si avvia a dar vita ad una casa famiglia), di un mezzo di trasporto necessario per accompagnare i bimbi alla scuola materna e gli stessi vivono di fatto reclusi con le madri per sei giorni alla settimana. Di sabato l’associazione “A Roma insieme” li accompagna all’esterno.
I bambini del carcere femminile della Giudecca, di cui si parla nel libro “Mamme dentro”, escono tutti i giorni, per andare all’asilo nido e alla scuola materna nei giorni feriali e in luoghi ricreativi nei giorni festivi. Ma la qualità della loro vita è parzialmente demandata all’associazione “La gabbianella”, che dal 2010 non è sostenuta economicamente da nessuna istituzione pubblica. Il volontariato stesso vive poi la contraddizione di avere il peso maggiore della cura dei bambini senza avere nessun ruolo o potere reale nel rapportarsi alle madri .
Emergono, durante il dibattito, le stesse tematiche a cui nelle due città di Milano e Venezia spesso vengono date risposte diverse.
Bisogna che le madri diano cura prioritaria ai figli o al lavoro che si può svolgere nell’istituto?
Bisogna lasciare che siano le madri o i parenti esterni a decidere se e quanto i bambini devono stare con la madre o pretendere che un progetto sui bambini sia fatto da operatori e madri insieme? In altri termini: si può permettere ad una madre di far entrare e uscire il figlio/a senza che nessun altro intervenga? Si può permettere che una madre neghi l’asilo e la scuola materna al figlio/a o gli/le neghi le cure mediche, tra cui la cura dei denti?
Quale ruolo devono avere all’interno dell’ICAM i Servizi Sociali, a tutela dei diritti e dei bisogni dei bambini? A questi problemi, comuni a Milano e a Venezia, ma probabilmente a tutte le realtà simili, si risponde in modi diversi. Talora si ha più a cuore l’interesse dei bambini, talora la tranquillità dell’Istituto di Pena. Infatti non c’è nulla che faccia maggiormente reagire le madri che l’essere contrastate sulle scelte riguardanti i bambini e talora si preferisce non inquietarle per la serenità generale dell’Istituto che le ospita.
Ma ciò che è più importante di tutto e per molti è il dopo carcere. Dove la maggioranza delle madri, che sono extra comunitarie non ha il permesso di soggiorno e di conseguenza non ha proprio nessuna possibilità di integrarsi nel nostro mondo assieme ai figli. Senza documenti in regola non si può trovare un lavoro regolare, né affittare un appartamento, né avere l’assistenza medica, né mandare i bambini all’asilo. Per i bambini che escono con madri in queste condizioni esiste solo la possibilità di seguirle o in un’espulsione verso i paesi di provenienza o in una vita da clandestini, dove tutte le forme di povertà economica e culturale, nonché etica confluiscono. Fingere che il problema non ci sia è un vanificare a priori qualsiasi intervento che si possa fare per recuperare le madri ed educarne i figli, mentre vivono uno stato di detenzione.
Bisogna mettere mano a leggi come quella sulla cittadinanza per i bambini che nascono in Italia e vi crescono (jus soli temperato), a regolamenti che prevedano l’obbligo di mandare i bambini del carcere all’asilo e alla scuola materna, a spese del Ministero di Giustizia (che potrebbe avvalersi di accordi con il Volontariato), a regolamenti che prevedano figure di tutela obbligatoriamente poste accanto a bambini in grande difficoltà, come quelli che finiscono negli ICAM, asili nido, case famiglia.
Se si continuerà a non fare queste cose, i bambini che oggi fanno tenerezza domani saranno in grande misura dei delinquenti, capaci solo di rubare, in modo più o meno violento. Se vogliamo che il nostro paese si tuteli dalla criminalità dobbiamo prevenirla e integrare i bambini esposti a questo rischio fin da piccoli. Il nostro paese ne guadagnerà anche in termini economici oltre che in termini di sicurezza, con tutto ciò che ne deriva.