La legge 62/2011 vorrebbe che nessun bambino più rimanesse in carcere con la mamma nella prima infanzia e recita “quando imputati siano donna incinta o madre con prole di età non superiore ai sei anni con lei convivente…(o padre… omissis) … non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di particolare rilevanza”. Poiché quelle esigenze cautelari qualche volta esistono, succede che ora negli Istituti a Custodia Attenuata per Madri, costruiti per i bambini, i cosiddetti ICAM (ce ne sono solo due: uno a Milano e uno a Venezia), ci siano bimbi non più fino a tre anni, ma fino a sei anni. Anzi, a Milano sono presenti solo bambini fino a tre anni, a Venezia bambini di età superiore. Nessuno riesce a capire per quale motivo il tenere un bambino con la madre, dopo i tre anni, in carcere dovrebbe essere un miglioramento della realtà carceraria a favore dei piccoli innocenti ivi rinchiusi. Lo scopo sarebbe quello di non staccarlo dalla madre, ma il figlio si staccherà comunque a fine pena e nessuno garantisce che la fine pena sia entro il compimento del sesto anno del bambino. Quindi alcuni bambini, inevitabilmente, saranno staccati dalle madri, anche se più tardi.
ICAM – Forse chi ha stabilito questa norma aveva in mente delle case-famiglia e non degli istituti a custodia attenuata. La differenza tra le due soluzioni è grande: le case famiglia sono luoghi da dove le madri escono e dove quindi si fa vita normale; il carcere è tale se le madri non possono uscirne e l’ICAM è carcere. Negli ICAM sono escluse le divise o le celle chiuse, ci sono belle stanzette colorate e ci sono i giocattoli, ma la mamma non può portare il figlio all’asilo, mentre ve lo può portare, talvolta, la madre che vive in una casa-famiglia. Se nelle case famiglia non ci fossero responsabilità legate alla detenzione, basterebbe mettere le madri detenute nelle casa-famiglia che già esistono sul territorio, ma queste responsabilità di custodia esistono e non è semplice custodire persone che possano spostarsi liberamente in città. Allora l’unica cosa possibile per impedire di peggiorare la situazione dei bambini è precisare che: qualora per le loro madri non siano possibili soluzioni diverse dagli ICAM, in essi i bambini possono stare solo fino ai tre anni e non oltre. In casa-famiglia con la mamma invece potrebbero stare fino ai sei anni e anche oltre.
Per i pochi casi (speriamo sempre meno) di donne costrette alla detenzione, pur avendo bimbi piccoli, non ci sono alla fine soluzioni migliori di quelle già sperimentate: lasciare i bambini con le madri – se proprio non hanno all’esterno i padri e i nonni – fino ai tre anni e non di più, in ambienti a misura di bambino, garantendo loro di uscire con altre persone per andare all’asilo nido nei giorni feriali e a divertirsi all’esterno nei festivi. La visita ai padri e dei padri ai figli dovrebbe pure essere curata e garantita… così come dovrebbero essere predisposti dei progetti educativi interni e all’uscita dal carcere, ma di più per questi bambini non si può fare.
La situazione di Venezia – Già fare questo non sarebbe poco. In realtà gli accompagnamenti all’esterno dei bambini sono attualmente lasciati, almeno a Venezia, unica città d’Italia che accolga bambini con più di tre anni, alla disponibilità dell’Associazione di cui sono legale rappresentante, senza accordi scritti di nessun genere tra Associazione ed Istituzioni – ivi compresa la Direzione del Carcere – senza finanziamenti pubblici, senza risorse umane, quali potrebbero essere, ad esempio, i ragazzi del Servizio Civile. Pare che a Milano l’ICAM, che è stato costruito per primo, non abbia ancora tutte le carte in regola per definirsi tale e con questo pretesto esso rifiuta di accogliere i bambini “grandicelli” che manda invece a Venezia. Qui, i bambini, oltre che dell’Istituto di pena, diventano un problema dell’associazione “La gabbianella”. Per assurdo, l’Associazione, che da dieci anni si preoccupa di portare i bambini al nido, che li porta in spiaggia d’estate tre giornate intere alla settimana, che li ha presi in affidamento quando ce n’è stato bisogno, che ha tenuto progetti educativi nel carcere, che è sempre state presente nelle emergenze ospedaliere e nelle più svariate circostanze, proprio perché fa autofinanziamento per pagare gli accompagnatori dei bambini, ha perso la qualifica di associazione di volontariato ed è stata inserita d’autorità dalla Regione Veneto tra le Associazioni di promozione sociale, perdendo tutti i consistenti aiuti del Centro Servizi per il Volontariato.
Cinque dei sei bambini ora rinchiusi con le madri nell’ICAM di Venezia sono di età superiore ai tre anni, con grave danno per i bambini stessi, che non possono riuscire a vivere con la madre un rapporto in cui ci si stacca da lei a poco a poco e parallelamente si impara a rapportarsi ad altre persone e al mondo tutto.
Mancanza di libertà, mancanza del padre e degli altri parenti (fratelli, nonni), mancanza di stimoli sensoriali, mancanza di amici, mancanza di contatto con la natura, sono alcune delle privazioni a cui vanno incontro questi bambini. Se fossero lasciati crescere all’esterno, andando a far visita regolarmente alla mamma, ed essendo informati, con grande tatto, su ciò che a lei è effettivamente successo, sarebbero meno penalizzati nella loro crescita umana e personale. E’ doloroso staccare i bambini dalle madri, ma è ancor più doloroso e penalizzante per la vita farli crescere fino a sei anni in carcere.
Il coraggio di correggere una legge nuova prima che faccia troppi danni – Bisogna tornare indietro: pur stabilendo che i bambini, sotto i tre anni, costretti ad accompagnare le madri in carcere, se non ci sono per loro altre soluzioni di vita, devono vivere in ambienti adatti a loro in ogni carcere femminile, si deve precisare che sopra i tre anni essi devono tassativamente uscire dal carcere. Piuttosto si precisino per legge altre cose: i piccolini di meno di tre anni potranno continuare a stare con le madri negli ICAM, ma andando all’asilo nido, e non per opera del volontariato, ma su accordi precisi tra il Ministero e/o gli Enti Locali e chi ha dimostrato di saperceli accompagnare oppure con del personale appositamente pagato. Le madri che eventualmente non accettassero l’iscrizione dei figli all’asilo nido, pretendendo di tenerli sempre reclusi con sé, dovrebbero non poter entrare con i bambini in carcere e si vedrebbero costrette a lasciarli ai parenti o ad accettare per loro l’affidamento eterofamiliare. Le madri non possono essere le uniche a decidere, senza controllo alcuno, da parte dei Servizi Sociali del luogo da cui provengono, se portare con sé i figli, specialmente se grandicelli. E’ infatti possibile che alcune di esse li vogliano strumentalizzare per avere migliori condizioni di vita.
Nessuno, nemmeno la madre, può infatti infliggere al figlio, un essere umano come lei, la pena di trascorrere i primi sei anni di vita in un carcere e questo è ciò che attualmente può avvenire senza che nessuno intervenga. I bambini sono persone e non oggetti di proprietà dei genitori. Bisogna rivedere la legge 62/2011 !