In questo periodi di immobilità forzata, “La gabbianella e altri animali” offre ai genitori adottivi che hanno determinato la nascita dell’Associazione questo breve racconto ambientato ai tempi del Coronavirus. Buona lettura!
David e il Corona Virus
Era una giornata sfolgorante e struggente. La primavera illuminava Venezia con luce vivissima e la città era splendida ma vuota. Nessuno ad ammirare la laguna finalmente limpida e liscia, i merletti di marmo dei palazzi, le nitide architetture dei campi e delle chiese.
In una sala dell’ospedale civile si celebravano i funerali della nonna di Davide e Lucia. Solo i famigliari potevano essere presenti e la nonna era stata in isolamento ed era morta da sola. Tutti erano tristissimi, perché nonna era stata amatissima ed era il riferimento di tutti in famiglia.
Davide ricordava quando, già grandicello, era stato accolto nella famiglia Pescatrice e di come lei gli aveva sorriso e, quando lui l’aveva ricambiata, di come gli aveva aperto le braccia, aspettando che lui vi ci entrasse per il primo abbraccio. Nessuno in famiglia aveva ancora osato stringerlo a sé, temevano di essere respinti, la nonna invece aveva capito subito che era di quello che lui aveva bisogno.
David era arrabbiatissimo contro il virus che aveva fatto ammalare la nonna e poi l’ aveva uccisa. Giurò in cuor suo che gli avrebbe dichiarato guerra, che lo avrebbe scoperto e avrebbe trovato la medicina capace di sconfiggerlo.
Era un neolaureato in medicina, aveva studiato proprio virologia e aveva fatto la tesi sul raffreddore, una malattia sempre sottovalutata, di cui ci si può ammalare molte volte di seguito…
Lucia gli stava vicino e, intuendo i suoi pensieri, gli prese la mano e gliela strinse.
Lucia era ancora una bambina, era nata dopo l’arrivo di David in Italia e per suo fratello maggiore provava un affetto profondissimo. Sapeva che lui era stato adottato, glielo aveva detto lui stesso, davanti alla mamma, ma per lei questo non faceva nessuna differenza.
Davide la guardò per un momento lunghissimo e le disse, senza parole, che avrebbe fatto il possibile per sconfiggere il virus e rendere onore alla nonna, che soleva dirgli, ad ogni sua incertezza: “Vai , David, tu puoi farcela, sei così intelligente”.
David andò dal suo professore, per chiedergli di aiutarlo a fare ricerca, di farlo entrare in un’equipe di studio, ma il prof. gli rispose che per lui era previsto un altro tipo di lotta contro il corona virus: anche i medici neolaureati dovevano entrare in corsia ad aiutare i colleghi anziani. Il ragazzo accettò le decisioni già prese per lui: avrebbe trovato il modo di lavorare e studiare insieme. E così fece. Cominciò a curare le persone che gli venivano affidate e ad ogni caso nuovo raccoglieva tutte le caratteristiche della persona ammalata, cercando di capire in particolare come aveva preso la malattia. “Perché la malattia si è sviluppata proprio nelle aree più sviluppate del paese?” era la domanda che egli si poneva. Cominciò a raccogliere dati e a fare delle ipotesi sul rapporto tra il virus e l’inquinamento, non dormiva quasi più. A tratti si addormentava davanti al computer e quando si svegliava trovava spesso la sorellina accanto a lui, con un bicchiere di aranciata in mano.
Quando i dati raccolti e le ipotesi che aveva fatto cominciarono a delinearsi con qualche chiarezza, tornò dal suo professore e gli sottopose le sue ricerche. Il professore ne fu colpito e lo mise in contatto con un suo collega indiano, che lavorava in un’equipe multietnica e multidisciplinare. I due ricercatori, quello anziano e quello giovane lavorarono insieme, ma a distanza, per molto tempo. I loro collegamenti, via skipe, erano fatti da casa e Lucia a volte stava vicino a David, senza dire e capire nulla, ma osservava tutto. Una volta disse a David: “ Il tuo collega indiano è molto simpatico e ti assomiglia moltissimo”. David le rispose: “Soprattutto ragiona come me! Ma sa molte più cose di me, mi sta insegnando moltissimo”. I due fratelli si sorrisero e poi si fecero pensierosi entrambi, un pensiero così fantasioso da essere inconfessabile si era fatto strada nella loro mente.
Fu il fisico indiano a cominciare a chiedere a David come mai fosse cittadino italiano e quanti anni avesse, tra uno scambio di dati scientifici e un altro. Un po’ alla volta i due cominciarono a parlare di sé e mentre il giovane parlava della sua passione per le scienze e del desiderio concepito da piccolissimo, mentre era in un istituto delle suore “Missionarie della carità” , di divenire dottore, il fisico indiano raccontava di come la sua famiglia si fosse frapposta tra lui e la sua ragazza, di religione e di casta diversa, per impedirgli di sposarla. La giovane fidanzata aspettava un bambino, ma quando i suoi genitori lo seppero, d’accordo con l’altra famiglia, la fecero sparire e lui non la rivide mai più. Seppe poi che aveva avuto il loro figlio e lo aveva lasciato dalle suore, che un anno dopo i suoi genitori le avevano procurato una dote ricchissima e con quella lei si era sposata con un uomo scelto dalla sua famiglia, che aveva saputo tutta la storia, ma aveva accettato la ragazza lo stesso, per la sua dote e la sua bellezza, con l’accordo che avrebbe sepolto il suo passato. Il bambino a quel punto era stato posto in adozione.
Lui non aveva mai smesso di chiedersi che vita aveva fatto quel figlio.
La storia turbò moltissimo David, che per un po’ non riuscì nemmeno a studiare. Se ne accorse Lucia, che lo fece parlare e alla fine disse quello che solo una bambina avrebbe avuto il coraggio di dire: “ E se quel figlio fossi tu?”. David era sempre stato sereno nella sua famiglia adottiva, ma ora si apriva in lui l’antico desiderio di sapere chi fossero i suoi genitori naturali. Decise che, qualora il virus fosse stato vinto, lui sarebbe andato in India e avrebbe scoperto anche la sua origine. Parlò a sua volta al fisico con cui era in relazione ed entrambi convennero sulla opportunità di fare una cosa alla volta: prima trovare una medicina efficace contro il virus, poi incontrarsi, fare il test del dna, coinvolgere il Tribunale per i Minorenni con i suoi genitori adottivi, trovare le suore che lo avevano cresciuto, trovare la madre naturale …
Fu così: David si immerse di nuovo nel lavoro e nello studio, i suoi contributi venivano utilizzati da professori di altre discipline per analizzare i rapporti tra virus e qualità dell’aria, tra virus e modalità di diffusione dello stesso, tra la forma del virus e la sua grande capacità di diffondersi e due mesi dopo il gruppo di ricercatori cinesi, italiani, indiani aveva già trovato una medicina capace di salvare molte vite. David era il più giovane tra loro, era quello che sapeva meno cose, ma aveva più idee ardite e lavorava con umiltà e senza stancarsi mai. Tutti i colleghi avevano cominciato ad apprezzarlo e lui aveva cominciato ad arricchire i suoi studi di medicina con quelli di matematica e fisica.
“Tu puoi!” gli aveva detto la nonna e lui osò sempre.
La primavera diventò estate, un’estate caldissima, e il virus scomparve da tutte le zone temperate in cui si era diffuso. Ne rimasero focolai in varie parti del mondo, ma le nuove medicine lo avevano reso molto meno pericoloso. Si riprese a pensare che i problemi del mondo erano altri: l’inquinamento, il surriscaldamento della terra, la siccità, le diseguaglianze, le guerre, che spingevano masse di diseredati verso i luoghi in cui si poteva sopravvivere.
Ma un numero sempre maggiore di persone cominciò a pensare che i problemi andavano risolti cambiando modo di vivere e il gruppo di David in questo fu pioniere. Lui e suo padre (perché era proprio suo padre!) continuarono sempre a collaborare, ma David rimase con i suoi cari italiani, senza togliere loro nulla del suo grande affetto e la loro bella famiglia si allargò a si fuse con quella naturale di David. Sua madre non fu mai ritrovata, ma lui e suo padre la vedevano in ogni donna indiana o italiana o africana che avesse bisogno di essere curata e il loro amore per tutte le persone ammalate fu la vera spinta per grandi scoperte scientifiche.