Si è spenta ieri notte una persona rara e delicata, la maestra elementare Donata Siniscalchi. Donata si è presa cura di bambini in età scolare per circa 50 anni, aveva infatti chiesto di differire il pensionamento entro il limite massimo previsto dalla legge. Vivere senza bambini intorno era per lei cosa anomala. Nei tempi in cui non c’era ancora l’insegnante di sostegno, era riuscita ad insegnare a leggere, scrivere e fare di conto a bimbetti portatori di gravi disabilità, impegnandosi in questo compito al limite del possibile. Preparatissima – ha trascorso gran parte della vita nello studio – rispettava profondamente ogni bambino, portando ciascuno ad imparare com’era fatto il mondo a partire dai suoi interessi, dalle sue ipotesi, dalla sua intelligenza. Tutti si sentivano da lei apprezzati e stimati, perché lei davvero apprezzava e stimava come pochi l’intelligenza dei piccoli. Non trasmetteva informazioni preconfezionate, ma le faceva acquisire con il metodo della scuola attiva, sempre. Bellissimi i suoi “Libri fatti a mano”, bellissimi i materiali didattici da lei costruiti nel tempo e che ha donato prima di morire ad una Direzione Didattica di Venezia.
Ma il compito educativo più difficile nella vita di Donata è stato quello di essere madre adottiva single di una bambina accolta all’età di sette anni, dopo che due coppie l’avevano rifiutata e dopo che era stata giudicata non scolarizzabile. Lei e sua figlia, ormai adulta e già madre a sua volta, hanno raccontato questa adozione dai loro rispettivi punti di vista nel libro che curai nel 2001 sui temi dell’adozione e dell’affidamento, “I figli che aspettano”, Feltrinelli editore. Mi aveva cercata lei agli inizi, avendo letto il mio primo volumetto, “Il gabbianello Marco”: “Ho anch’io una storia di adozione da raccontarti”, mi disse ed entrò così nell’associazione “La gabbianella” che non ha più lasciato, dando contributi nel vecchio gruppo di aspiranti genitori affidatari “Cerco nido”, al progetto “Essere madri in carcere”, ecc. Nella rassegna “Dritti sui diritti”, nel convegno-festa dell’associazione, che si riuniva per i suoi vent’anni di attività, Donata, con un filo di voce, fece il suo ultimo intervento per ribadire come in certi casi anche persone non sposate potessero adottare con buoni risultati.
Chi ama l’infanzia spesso ama tutti gli uomini e con essi, talora, tutte le creature viventi. E così, soprattutto dopo la pensione, Donata curava gli animali che la “Dingo” accoglieva e ha dato un grandissimo contributo alla costruzione del gattile e a quest’altra stimabile associazione.
Fragile e forte, coerente fino all’eroismo, tanto colta quanto umile, Donata è stata persona meravigliosa. Il ricordo che lascerà di sé a chi l’ha conosciuta sarà prezioso sempre. Voglio concludere queste poche righe scritte nel suo ricordo con le sue stesse parole, scritte nell’introduzione alla sua storia di adozione nel libro sopra citato: “ L’infanzia è un momento della vita dell’uomo che mi ammalia. L’infanzia è il principio. Il principio è della speranza, della costruttività, della forza. Certo, l’infanzia è anche della fragilità, della dipendenza, ma è anche del possibile assoluto, della fiducia, della gioia.”
Donata non credeva nel paradiso, ma se il paradiso esistesse, lei se lo meriterebbe luminosissimo.
Carla Forcolin